In queste ultime settimane sta succedendo una cosa che davvero non mi aspettavo: mi sto divertendo.
Sto uscendo, sto vedendo gente, ne sto conoscendo altra, e sto ridendo, organizzando, programmando cose. E me ne sto fregando abbastanza di tutto. Delle pare, delle insicurezze, delle solite paturnie, che tanto quelle ci sono e nessuno me le toglie, quindi tanto vale non pensarci.
Ero così una volta.
Solo che è stato talmente tanto tempo fa, che nemmeno me ne ricordavo.
Ero quella che usciva di casa il venerdì sera e non tornava fino alla domenica sera, se non per qualche breve cambio d’abito, che saltava da una parte all’altra per fare un salutino a tutti i vari gruppi di amici sparsi per la provincia. Quella che non disdegnava mai due passettini di salsa, un aperitivo, un’uscita non programmata di mercoledì sera. Che partiva su due piedi per il week end con le amiche.
Quella che conosceva tutti, la prima a far casino, con un’ampia scelta di opzioni per uscire il sabato sera.
Non a caso ieri sera mi è tornato in mente un locale che si chiamava IL CAPOLINEA e che oggi, purtroppo, non esiste più. Era un postaccio in mezzo al niente, zanzare d’estate, nebbia fitta d’inverno, con i fogli di giornale al posto della carta da parati, le sedie colorate dai proprietari, i soffitti bassi e grandi tavoli di legno dove si saliva per ballare. Lo adoravo. Per quanto era senza pretese, per la gente e perché mettevano spesso Ligabue. Penso che proverò a passare là davanti, tanto per sentire il sapore sei ricordi.
Ma questo è stato prima.
Prima di tanta vita, di tante cose, di tante delusioni e di troppe riflessioni.
Prima di tante decisioni, di attimi e secoli, di lacrime e brividi. Soprattutto, lacrime.
Prima di questo studio matto e disperatissimo su me stessa, prima di capire chi ero. E prima di avere la pretesa di sapere chi sono, di superare le mie incoerenze, di incasellare la mia testa in uno schema.
Poi mi ero chiusa.
E avevo smesso di uscire, o anche solo di interessarmi a cosa facevano gli amici.
Stavo semplicemente bene per conto mio, e per molti aspetti, è ancora così.
Poi mi è venuta la voglia di scappare via, prima a Milano e poi a Roma. Poi da qualunque parte, basta andare.
Poi mi è tornata la voglia di restare.
Oggi non so.
Ma forse, in fondo, la vita è come la viviamo noi, perché come la vedi la vedi, ma è sempre tutto in come la vedi.
Forse ho cambiato atteggiamento, forse semplicemente sono un po’ più serena, o forse ho smesso di puntare alla Felicità, e mi sono rassegnata a vivere qualche momento divertente, quando viene e come viene. Forse ha ragione Enrico Brizzi, quando in quel libro che ho tanto amato (ndr Jack Frusciante è uscito dal gruppo) scrive che “alla fine l'equilibrio interiore non è che da cercare. Forse ce l'abbiamo già, e più ci muoviamo o agitiamo o altro, e più ce ne allontaniamo”.
Forse ho imparato a distinguere tra gli Amici, che sono e restano comunque sempre gli stessi, sempre meno e sempre più preziosi, e le conoscenze superficiali, quelli che incontri una sera in giro, con cui non è necessario parlare dei misteri dell’universo, ma a volte basta anche solo fare due risate.
Mi sembra di essere tornata una spensierata studentessa universitaria, solo con molti più soldi in tasca e nessuno che mi dice a che ora tornare.
E posso anche dire che le luci di Natale quest’anno non mi creano quel senso di angoscia che mi prende tutti gli anni. Certo, un pochino di malinconia, quella si. Ma, in fondo, non mi dispiacciono.
“Credo che c'ho un buco grosso dentro, ma anche che, il rock n'roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici ogni tanto questo buco me lo riempiono. Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddie Merckx.” Radiofreccia, Ligabue