venerdì 31 dicembre 2010

io voglio un mondo all'altezza dei sogni che ho


Ed eccoci qui, ultimo post di questo tormentato 2010, volato in un soffio eppure lento e sonnacchioso come un bradipo. 
Mi fermo a riflettere sull'anno che sta finendo, e su quello che inizierà tra poche ore.
Su quello che voglio, che già so di non volere, di dover evitare, di non poter avere, sulle persone che vorrei al mio fianco. E su quelle che proprio sarebbe meglio di no.  
Quello passato doveva essere l'anno della razionalità. E per fortuna lo è stato.
Diciamo che ho tenuto botta. 
Un anno tutto sommato tranquillo, senza scossoni né grosse delusioni. Con le emozioni quasi sempre sotto controllo, con i nervi al loro posto e con poche, pochissime montagne russe. Meglio così, che un pò di pausa ci voleva. Ci ripenso e mi dico che ne ho avuti di peggiori. Tanto è, e tanto dovrebbe bastare, per ora. 
Ho messo via un pó di illusioni che prima o poi basta così e sono contenta di me, ho gestito bene le cose. 

Ringrazio... 
Le amiche che ti salvano l'umore o una serata storta, con un sorriso, una tisana drenante o un lip-gloss colorato. 
La mia casetta che è sempre di più un nido ed una tana dove mi rifugio per cercarmi. E forse mi trovo, anche se non tutti i giorni. 
La mia famiglia che adesso, come non accadeva da troppi anni, è uno spazio di serenità e di affetto senza diventare una gabbia. Presenti ma non invadenti.
La potatura del bonsai, dolorosa ma necessaria per non far perdere alla pianta la sua forma, perché è giusto non cambiare mai e cambiare un pó tutti i giorni. 
La ferma certezza delle cose che so di non volere, delle vacanze che bisogna evitare, delle convenzioni che non valgono, almeno per me. 
La maturità delle scelte, la consapevolezza della realtà e l'intelligenza di cambiare idea ogni volta che serve. 
Il lungo lavoro su me stessa, dentro e fuori e imparare ad accettare quell'insicurezza che farà sempre e comunque parte di me. Nonostante tutto. 
Chi non mi vuole e non mi merita, chi mi vuole ma non fa niente per avermi, chi passa ma non se ne va, chi non si è fermato ma resta, chi mi chiama tutti i giorni e chi poi non mi cerca più, chi ha deciso di cambiare vita e non si ricorda più l'indirizzo di casa mia, e chi, nonostante tutto, trova ancora il tempo per passare da me.
Perché tutti, a loro modo, mi hanno insegnato qualcosa. 
I concerti di Ligabue, con l'adrenalina che sale, la voce che si abbassa a forza di cantare e quelle parole che sembrano pensate e scritte per me. 
Le partenze improvvise e i ritrovi improvvisati, che restano comunque i migliori. 
Le cose che davvero non t'aspetti, quelle in cui speri fino all'ultimo, le cose che in fondo al cuore sai già come andranno a finire e quelle che prendono una piega inattesa strada facendo. E quelle che prendi come vengono.
Le persone superficiali che son sempre sicure di tutto, i dubbi delle persone intelligenti.
E poi i bauli di sentimenti chiusi con una chiave che non sai più dov'è, ma che tanto per il momento è meglio non cercare perchè comunque non li apriresti. 
Chi resta nel cuore e chi non se ne va dalla testa. 
Me stessa, la voglia e la forza di rimanere sempre io, di volermi sempre bene e lo sforzo di imparare ad essere in uno show room, non al discount. 
I nuovi incontri e i vecchi scontri. 
I progetti realizzati, quelli che hanno già preso forma nella testa, quelli che per ora sono solo un'idea vaga. 

Vorrei che il 2011 fosse un anno leggero e da prendere non troppo sul serio. 
Anzi no, già che ci siamo punto più in alto. Voglio un anno alla grande, un cielo senza nuvole, il sole tutti i giorni. Non voglio solo serenità, voglio anche momenti di autentica felicità, voglio amici, risate, serate e viaggi. Voglio soddisfazioni sul lavoro e affetti a casa. Voglio l'amore, voglio la vita. Voglio una primavera lunghissima e profumata,
Voglio cieli stellati e notti di luna. 
Voglio prendermi tutto, ma proprio tutto quello che la vita può darmi, e anche di più.

Ok, adesso sono pronta davvero.
Cin cin. A me stessa, alla vita e al nuovo anno.

mercoledì 22 dicembre 2010

e ti vedi con una che fa il tuo stesso giro e ti senti il diritto di sentirti leggero

Nella mia se pur poco convinta esperienza di appuntamenti galanti, ho fatto una rapidissima e semplice considerazione: c’è un tempo fisiologico che serve per capire com’è davvero una persona, o per lo meno, cosa cerca da te e dalla vita.
Sì, perché i primi incontri sono sempre un pochino carichi di tensione, della voglia e dell’intenzione di fare bella figura con l’altro, magari di mostrarsi più sicuri di sé, o forse meno impacciati, più attenti, meno timidi, più interessanti. Ma poi, dopo un po’, se si ha la pazienza di andare un po’ oltre, si capisce meglio.
E infatti, anche con il Principe-Ranocchio, è stato ed è un po’ così.
Dopo un inizio da vero Ufficiale e Gentiluomo, da qualche tempo ha iniziato a prendere una brutta piega.
Perché, inutile negarlo, conoscere una persona nuova richiede impegno. O almeno, richiede il tempo e l’interesse necessari per frequentarsi, stare insieme, e capirsi.
E’ ovvio che, se nessuno dei due è disposto a sacrificare qualcosa del suo ben organizzato ed impegnato tempo per dedicarsi all’altro, viene meno il presupposto di base per conoscersi, e tanto vale lasciar perdere.
Ora, come è ben noto a tutti quelli che mi conoscono un po’, dopo un minimo di dieci ore filate in studio, io la sera amo molto starmene a casina in relax, un po’ di attualità in TV, qualche paginetta di libro, e nanna. Ovviamente, se qualcuno mi invita fuori, o se un’amica compie gli anni, o se c’è qualche serata divertente, un cinema o altro, esco altrettanto volentieri.
Pare, invece, che questo aspirante Principe, che ormai s’è giocato la corona e, per quanto riguarda me, pure il cavallo bianco, abbia impegni (...che, si sa, gli amici con cui bere una birra sono fondamentali nella vita di un quarantenne) tutte le sere e che sia libero soltanto, guarda caso e manco a farlo apposta, nelle rare sere in cui sono impegnata io. Propongo un compromesso, sposto un impegno io, a patto che lofaccia pure lui, ma non coglie.
Anzi, come se io non avessi un’idea di cosa significa un “lavoro impegnativo”, di responsabilità, mi dice pure che è stressato, che non ha tempo praticamente per nulla.
Gli dico chiaramente che, in tutta sincerità, non ho voglia di fare questi giochetti, che non mi va di rincorrere nessuno, che se c’è, bene, e se no, bene uguale.
Lui mi dice che me la tiro, io gli rispondo, con un bel coup de teatre, che è ordinario come le penne rigate della Barilla, che come lui se ne trovano a pacchi. A bancali, anzi. Che il lavoro e tutto il resto non sono altro che alibi perfetti per un interesse nei miei confronti che, ammettiamolo, mi pare davvero un po’ scarsino.
Che sono stanca di persone mediocri, superficiali e stereotipate, e che certe scuse potranno anche andar bene per le sue amiche, ma non per me.
Che se ci sono certi presupposti bene, se no, ringrazio il dottore, rifiuto e vado avanti, che tanto meglio sola...
E succede che, dopo l’ennesima reazione stizzita in cui mi fa notare che io non sono mai libera, io perdo completamente la pazienza, lui fa un pochino il permaloso, il risentito, il deluso, e a me scende completamente la catena. Del tutto, direi.
Faccio passare un paio di giorni senza farmi sentire. Lui pure.
E mi accorgo che non solo non mi manca neanche un po’, che non solo non mi chiedo dove sarà/cosa starà facendo/perché non mi chiama, ma mi sento addirittura più libera, più serena, più in equilibrio con me stessa. Perché è una gran tristezza trovarsi ancora a ‘sto punto, a quasi trentacinque anni.
Lascio questa sensazione in stand-by, anche perché lui ora parte per passare il Natale con i parenti. Del resto, lui ha perso un bel po’ di punti…

Ieri sera, mi arriva un suo SMS: “Scusa per tutto. Sono già complicato di mio, e non è un periodo semplice della mia vita. Se mi permetti, mi piacerebbe invitarti a cena appena torno”.
Io soltanto: “la vita non è semplice per nessuno, direi. In nessun momento.”
E lui: “Ok, anche su questo hai ragione. Allora, accetti la cena?”

Certo, la mia autostima va un pochino meglio, e devo ammettere che è diventata una questione di principio. Ma non so se ci esco, a cena con te, ci devo pensare.
Poi, magari stasera, con calma, ti rispondo. Che io c'ho mille impegni, un lavoro impegnativo, tante responsabilità, mille amici, duecento cene e sono anche molto stressata...
Intanto, carino, stai lì a bollire nel tuo brodo un po’.
Perché adesso sì che me la tiro davvero....

martedì 14 dicembre 2010

...abito sempre qui da me, tra chi c’è sempre stato e chi non sai se c’è

Dove eravamo rimasti…
Non passo da questo posticino da parecchi giorni. Anzi, direi che, da un anno a questa parte, è la prima volta  che lascio passare così tanto tempo senza scrivere.
Mi pareva di non aver più niente da dire.
Poi, mi sono riletta alcune pagine del vecchio blog, tanto saggiamente salvato e gelosamente conservato e, una volta di più, se mai potesse servire, mi sono resa conto di quanto sia importante per me scrivere, di quanto bene mi faccia tirare fuori i pensieri e trasformarli in un rassicurante nero su bianco.
E allora ho pensato di passare da qui, almeno a spolverare un po’ e ad aprire le finestre per cambiare l’aria, che è pur sempre casa mia, questa.  
Un anno fa partiva quel tale che mi aveva irrimediabilmente spezzato il cuore, distrutto l’autostima, e senza il quale pensavo di non poter più vivere.
Un anno fa avevo soltanto voglia di addormentarmi e svegliarmi il 7 gennaio. Non sopportavo l’idea del Natale, la città illuminata e addobbata mi faceva un gran male e sentivo una profonda tristezza.
Oggi, per fortuna, non è più così.
Oggi quel tale è proprio qui in città, poco distante da me, ma io non ho neppure voglia di sentirlo, non parliamo neppure di incontrarlo. Non esiste più.
La sera, quando esco dallo studio e passo per il centro, mi incanto a guardare le lucette delle luminarie che si rincorrono. Le trovo… magiche. Eppure, mi pare che siano le stesse dell’anno scorso. Forse sono io, diversa.

In ogni caso, e tanto per chiarire, diciamo che dall’ultimo post che ho scritto non è poi cambiato moltissimo, nella mia vita. Non sono certo stati giorni che han lasciato il segno…
Ho lavorato tanto, ho avuto inaspettatamente un incarico molto importante che mi ha portata al centro della cronaca locale. Non c’è che dire, fa sempre un pochino effetto vestire i panni del grande penalista, con amici e conoscenti che mi fanno i complimenti perché hanno letto il mio nome sul giornale. Ma purtroppo a volte non sanno far altro che giudicare… del resto, è sempre così, ognuno sceglie la tua verità.
Ho rivisto delle carissime amiche, che sono orgogliosamente riuscita a riunire a casa mia davanti ad un piatto di cous-cous fumante e saporito. E abbiamo chiacchierato di noi, della vita, dei sogni e dei progetti, e abbiamo riso di certi tipi frequentati e magari anche baciati un milione di anni fa, e abbiamo anche un po’ pianto perché la vita è sempre forte molto più che facile.
In queste occasioni, ringrazio sempre perché nonostante il lavoro, i figli, la vita, siamo sempre noi, e perché gli accordi migliori rimangono sempre quei tre.
Ho passato un brutto week end, con la pessima compagnia del dente del giudizio che ha deciso di farsi sentire, tra antibiotici e il vecchio rimedio della nonna, chiodi di garofano per anestetizzare.
Davvero un pomeriggio spompo di domenica… E poi ti dicono tu pensa alla salute, che c’è chi pensa a quello a cui non pensi tu…
Ho visto e rivisto L., non ancora promosso a Principe, ma nemmeno più ranocchio.
E l’ho invitato a uscire domani sera con i miei amici. E poi mi sono pentita di averlo fatto, perché presentarti con un tipo significa rispondere a domande, dare spiegazioni, e forse aver voglia di fargli uno spazietto nella tua vita che, al momento, non so se c’è.
E poi mi sono pentita di essermi pentita, perché a mia volta mi fido del mondo, non ti dico le botte che prendo. Ma sono così, e ho deciso di allentare un po’ l’armatura e, anche se so vivere ancora solo una sera per volta, questa volta mi aspetto davvero di tutto… e non dev’essere per forza perfetto.
Ma almeno voglio sapere come va a finire.

mercoledì 1 dicembre 2010

ma tu sei lì per non rispondere (e indossi un gran bel gilet)

Non lo so, se credo in Dio.
In verità, non so in cosa credo. 
So che credo in qualcosa, o almeno so che mi sforzo di farlo. Ma so anche che non riesco a riconoscermi nel cattolicesimo, ingabbiato in una serie infinita di devi/non devi, di comandamenti e divieti che cercano di schematizzare le nostre azioni e le nostre idee in colpe e peccati, in giusto e sbagliato. E che si rifiuta di adeguarsi ai tempi che stiamo vivendo.
So anche che è già da un po’ che cerco risposte. Su me stessa e sulle cose che capitano. O non capitano. Perché vorrei disperatamente dare un senso alle cose, perché vorrei tremendamente riuscire a spiegarmi questa vita, nella quale non mi sento mai completamente a mio agio.
Perché vorrei essere sicura di avere gli strumenti per superare i miei limiti.
Perché ho addosso da anni questo senso di precario, perché da troppo tempo mi sento sospesa in balia di me stessa e delle mie debolezze. Delle emozioni, delle mie paure e del bisogno di sapere che c’è di più. O forse solo di amare o di essere amata un po’ di più.
Ieri, quasi per caso, ho fatto una interessante chiacchierata con un giovane e moderno sacerdote, uno di quelli che, per una volta, ti parlano con il tuo linguaggio, non si stupiscono delle domande che fai, magari infantili e un po’ troppo terra terra, dei tuoi dubbi, di quelle frasi che puoi buttare lì in maniera provocatoria, ma che in fondo sono il frutto del tuo scetticismo, della mai sbollita arrabbiatura verso questa vita che ti toglie sempre un po’ di più di quello che ti da.
E’ stata dura, emotivamente. Molto dura, una di quelle scosse di terremoto interiore capaci di far crollare almeno il 50% delle tue certezze.
Gli ho parlato di mia madre, di quanto mi manca, soprattutto in questo periodo, di quanto ancor oggi mi risulti incomprensibile il disegno che questo Dio così magnanimo e misericordioso, ammesso che ci sia, ha pensato per me.
Di quanto poco convincente e consolatoria sia per me la sua risposta: Dio ci regala la vita eterna, dopo questa ce ne sarà una meravigliosa anche per te, in cui ti ricongiungerai con i tuoi cari e vivrete nella beatitudine degli eletti.
Non mi basta, caro Don, perché io intanto sono qui, fra poco è Natale e lei non c’è, come non c’è stata in questi ultimi anni, e non ci sarà se un giorno mai mi sposerò, e non sarà con me e mia sorella il giorno in cui avremo dei bambini.
Non mi accontento di sapere che nella prossima vita staremo insieme. Io vorrei poterla abbracciare qui, oggi, in questa vita. Andare a fare due passi in centro con lei, pranzare insieme la domenica.
È che, c’è poco da fare, se la fede è un dono, a me forse non è stato dato.
Forse ho troppo studiato, prima l’antologia greca, poi tanta filosofia e storia, poi troppo diritto, e oggi la mia mente razionale non mi consente di superare il dato empirico, di vedere oltre, o al di là delle cose.
La cosa strana, è che, quando penso a mia madre, la penso come se potesse vedermi, guidarmi, sostenermi, e forse, in certi momenti ho avuto anche la sensazione forte di averla vicina, come se fosse seduta lì, due sedie più in là in un cinema, oppure in treno, o a piedi per strada.
Ma è già da un po’ che non la sento più, che non mi rivolgo a lei per chiederle aiuto, che ho smesso di credere. In quel qualcosa di superiore, che potrebbe essere un Dio, nella vita, nella mia capacità di affrontarla.
È che ti illudi di averle ormai superate, certe cose. Credi che si possa andare avanti lo stesso, non dico darsi una spiegazione, ma almeno rassegnarsi. E invece io proprio non ci riesco, ad accettare. Invece basta un niente e la mia mente diventa una ragnatela di domande, alle quali puntualmente non trovo risposte.
Forse perché, come mi dice un’amica psicologa, c’è davvero ben poco da capire. Bisognerebbe pensare di meno, avere tanta di quella forza da riuscire a prenderla come viene, a seguire il flusso delle cose senza fare la fatica di andare controcorrente. Essere contenti di quello che si ha, non inquieti per quello che ci manca.

Ho bisogno di riflettere, avevo bisogno di scrivere queste poche frasi, magari sconclusionate, magari banali, sicuramente retoriche. E provo a fare quell’esercizio che ti suggeriscono in questi casi, che dicono faccia bene, che per una volta, almeno nel mio caso, mette d’accordo sacerdoti e psicologi: prova a pensare che non è affatto scontato che tu domani ci sia. Fa’ come se oggi fosse il tuo ultimo giorno su questa terra.
Quali sono le cose importanti che hai? Quali quelle che ti mancano?

lunedì 29 novembre 2010

può essere sabato solo quando lo vuoi


In queste ultime settimane sta succedendo una cosa che davvero non mi aspettavo: mi sto divertendo.
Sto uscendo, sto vedendo gente, ne sto conoscendo altra, e sto ridendo, organizzando, programmando cose. E me ne sto fregando abbastanza di tutto. Delle pare, delle insicurezze, delle solite paturnie, che tanto quelle ci sono e nessuno me le toglie, quindi tanto vale non pensarci.
Ero così una volta.
Solo che è stato talmente tanto tempo fa, che nemmeno me ne ricordavo.
Ero quella che usciva di casa il venerdì sera e non tornava fino alla domenica sera, se non per qualche breve cambio d’abito, che saltava da una parte all’altra per fare un salutino a tutti i vari gruppi di amici sparsi per la provincia. Quella che non disdegnava mai due passettini di salsa, un aperitivo, un’uscita non programmata di mercoledì sera. Che partiva su due piedi per il week end con le amiche.
Quella che conosceva tutti, la prima a far casino, con un’ampia scelta di opzioni per uscire il sabato sera.
Non a caso ieri sera mi è tornato in mente un locale che si chiamava IL CAPOLINEA e che oggi, purtroppo, non esiste più. Era un postaccio in mezzo al niente, zanzare d’estate, nebbia fitta d’inverno, con i fogli di giornale al posto della carta da parati, le sedie colorate dai proprietari, i soffitti bassi e grandi tavoli di legno dove si saliva per ballare. Lo adoravo. Per quanto era senza pretese, per la gente e perché mettevano spesso Ligabue. Penso che proverò a passare là davanti, tanto per sentire il sapore sei ricordi.

Ma questo è stato prima.
Prima di tanta vita, di tante cose, di tante delusioni e di troppe riflessioni.
Prima di tante decisioni, di attimi e secoli, di lacrime e brividi. Soprattutto, lacrime.
Prima di questo studio matto e disperatissimo su me stessa, prima di capire chi ero. E prima di avere la pretesa di sapere chi sono, di superare le mie incoerenze, di incasellare la mia testa in uno schema.
Poi mi ero chiusa.
E avevo smesso di uscire, o anche solo di interessarmi a cosa facevano gli amici.
Stavo semplicemente bene per conto mio, e per molti aspetti, è ancora così.
Poi mi è venuta la voglia di scappare via, prima a Milano e poi a Roma. Poi da qualunque parte, basta andare.
Poi mi è tornata la voglia di restare.

Oggi non so.
Ma forse, in fondo, la vita è come la viviamo noi, perché come la vedi la vedi, ma è sempre tutto in come la vedi.
Forse ho cambiato atteggiamento, forse semplicemente sono un po’ più serena, o forse ho smesso di puntare alla Felicità, e mi sono rassegnata a vivere qualche momento divertente, quando viene e come viene. Forse ha ragione Enrico Brizzi, quando in quel libro che ho tanto amato (ndr Jack Frusciante è uscito dal gruppo) scrive che “alla fine l'equilibrio interiore non è che da cercare. Forse ce l'abbiamo già, e più ci muoviamo o agitiamo o altro, e più ce ne allontaniamo”.
Forse ho imparato a distinguere tra gli Amici, che sono e restano comunque sempre gli stessi, sempre meno e sempre più preziosi, e le conoscenze superficiali, quelli che incontri una sera in giro, con cui non è necessario parlare dei misteri dell’universo, ma a volte basta anche solo fare due risate.
Mi sembra di essere tornata una spensierata studentessa universitaria, solo con molti più soldi in tasca e nessuno che mi dice a che ora tornare.
E posso anche dire che le luci di Natale quest’anno non mi creano quel senso di angoscia che mi prende tutti gli anni. Certo, un pochino di malinconia, quella si. Ma, in fondo, non mi dispiacciono.



“Credo che c'ho un buco grosso dentro, ma anche che, il rock n'roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici ogni tanto questo buco me lo riempiono. Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddie Merckx.” Radiofreccia, Ligabue

mercoledì 24 novembre 2010

non ci sono desideri da non dire come tempo fa


Dopo un po’ di uscite con l’aspirante Principe, cercando di conoscersi un pochino, possibilmente con calma e senza farsi troppo domande, io una riflessione ce l’avrei anche.
Pensavo... che incontrarsi “da grandi”, e magari tentare di fare qualcosa di carino insieme, è davvero molto ma molto più difficile.
Perché, quando hai superato i trent’anni già da un po’, nella tua vita, soprattutto sentimentale ed affettiva, sono già successe molte ma molte cose. Ed è inevitabile che tutto quel passato condizioni il nostro presente, il modo di comportarci, di vedere le cose.
Purtroppo, a volte, questo bagaglio è un pochino pesante da portarsi in giro, per noi e per chi tenta di starci vicino.
C’è chi è stato lasciato, chi ha sofferto tanto nelle storie passate, e magari la delusione che sembrava archiviata è ancora lì bella fresca, viene fuori con impeto e allora non ci si lascia andare tanto facilmente.
C’è chi ha maturato un bel credito emotivo con i propri ex, ma tanto grande che ci può quasi fare un mutuo, e allora ha paura, è diffidente, o peggio, ha proprio voglia di prendersi una bella rivincita verso se stesso, verso il mondo, verso l’altro sesso, verso la vita.
C’è chi ha lasciato, chi è stato tradito, chi ha tanto amato, chi è stato tanto amato, chi ha le idee confuse e non sa cosa vuole, chi ha paura di farsi male, o di farne all’altro, chi si sente solo troppo solo e cerca semplicemente qualcuno con cui fare un pezzettino di strada.
E poi c’è il chiodo schiaccia chiodo, c’è chi vuol fare solo un altro giro di giostra.
E c’è chi ha così tanta voglia di innamorasi, che rischia di crederci veramente, mentre tu, sei solo quello che tiene su lo specchio, ma quello che ci si vede è sempre e solo quello che si decide di vedere.
Ancora, c’è chi sta bene anche così, chi non cerca niente di particolare, ma si trova lì con te, vorrebbe proseguire ma fa proprio tanta fatica a farti un po’ di spazio nella sua vita iper-impegnata e super-programmata, e c’è chi è geloso dei propri spazi, perché crede che frequentare una persona voglia dire perdere un pezzetto di libertà, magari tanto faticosamente conquistata.
C’è chi è ancora lì a rimpiangere quella nave scuola che ha confuso con l’amore… e che forse lo era più che mai…

Pensavo che, se non si fa un pò di attenzione, il rischio è un po’ quello di far pagare il conto a chi ci troviamo lì in quel momento, anche se quel poverino non c’entra nulla con il peso della nostra valigia. Non c’entra con le delusioni, con le briciole o i cocci di noi. Non centra con le ferite, con i sogni che abbiamo dovuto far passare.
E’ semplicemente lì in quel momento.
Un po’ come quando telefoniamo al call-center di quella maledetta compagnia telefonica e ci risponde la Federica di turno, che ci chiede gentilmente in cosa può esserci utile, e noi le diamo la colpa di quell’errore sulla bolletta, o magari del fatto che non riusciamo più ad inviare sms.

Io, a dir la verità, non so da quale posto vengo, forse, per far la rima al Liga, sono stati tanti posti, tutti da straniera. Però, so che non mi riconosco più, nel mio rapportarmi con questo L.
Nella mia vita precedente, prima dell’uragano BluSal, non avevo mai neppure lontanamente ipotizzato di essere io quella che rimane distante, quella che non si lascia andare, quella che chiama meno dell’altro, quella che non sta sulle spine se la risposta ad un messaggio arriva un po’ in ritardo. Quella che vedersi oggi o domani fa poca differenza, in fondo.
Perché sono stata sempre quella che, appena conosce una persona, fa partire immediatamente tutto l’intero DVD della storia d’amore, quella che si fa il film…
Forse perché è la prima volta che non ho nessuna aspettativa, nessuna fretta e nessuna domanda da fargli o da fare a me stessa.
Forse perché ho deciso di prendere semplicemente il sole che c’è, e se un giorno è brutto beh, lascia che piova pure…
Perché ho deciso di non chiedere niente in più di quello che mi viene dato spontaneamente. E non mi è praticamente mai successo. Sono qui. E sto a guardare.

Intanto, stasera cinema. E chissà che a far la magia non ci pensi Harry Potter.

lunedì 22 novembre 2010

Sogni...



Poco più di un anno fa, ho incontrato un tale tramite il mio vecchio blog.
Molti lo conoscono come Gentleman_71, altri, magari, hanno soltanto visto passare, tra i più assidui  frequentatori dei miei blog, l’immaginetta di un pinguino panciuto su sfondo azzurro. O hanno letto qualche suo commento pungente e sempre intelligente e calzante.
Beh, quel tale, tra una battuta e un discorso filosofico, una sera al telefono mi ha raccontato di aver scritto un libro. Così, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come si direbbe qualcosa tipo oggi ho mangiato gli spaghetti alla carbonara.
Anzi no, ha fatto di più. Si è fidato talmente tanto di me, da mandarmi per e-mail la bozza da leggere.
Era un venerdì. Io avevo stampato solo una ventina di pagine del file, tanto per dare un’occhiata quella stessa sera e vedere com’era. Più per curiosità che per altro.
Poi, però, una volta iniziato, non ho potuto aspettare il lunedì successivo per stampare altre pagine dall’ufficio e leggerle.  
No, a quel punto, dovevo assolutamente sapere come andava a finire il libro, dovevo conoscere le sorti del protagonista Davide, ironico e romantico, diviso tra due donne affascinanti e sexy, Cinzia e Lara, sempre sospeso tra l’amore e la sua vita, tra il non sapere esattamente cosa vuole e la consapevolezza che non può essere tutto qui. Tra i contrasti  e le incoerenze di se stesso e della sua anima.
E così, è finita che quel libro l’ho letto tutto in un giorno, sull’Iphone. La fatica di cimentarmi nella lettura dal telefono, a caratteri così piccoli, è stata ampiamente ripagata da quella storia degna del miglior Fabio Volo, che ho subito adorato.
Mi ci sono affezionata all’istante, a lui ed al suo libro.
L’ho letto tutto d’un fiato. Mi ha fatto incuriosire, emozionare, arrabbiare, ridere, a tratti commuovere, riflettere e sognare. Mi sono riconosciuta nei personaggi, nelle loro vicende, nelle fragilità, nel modo di prendere la vita, nell’inquietudine e nel bisogno di dare un senso alle cose.
Perché “quando la vita ti trova”, è uno di quei libri in cui ognuno può riconoscersi un pochino, in cui ognuno intravede un pezzettino della propria vita, di sé, del proprio mondo e della propria storia personale.
Poi son passati i mesi, e intanto che io quello che per tutti è diventato il mio amico scrittore imparavamo a conoscerci, lui mi ha coinvolta tanto nel suo progetto, mi ha conferito il privilegio di aiutarlo a rivedere la bozza, mi ha lasciato l’onore di scrivergli la quarta e le sue note biografiche così, oggi, sul suo libro, c’è anche un pochino di me. Lo dico gongolando, con orgoglio e gratitudine.
E poi, insieme, abbiamo tanto riflettuto, discusso, letto e scritto, e abbiamo scelto il disegno per la copertina, la casa editrice e tutto il resto.
E’ stato per me un piacere, un bel divertimento, oltre che un onore grandissimo.
Lui ha sopportato addirittura i miei ritmi incalzanti ed i miei commenti a volte un po’ diretti sulla sua tendenza a pettinar le bambole. Forse, come mi piace stuzzicarlo, aveva semplicemente capito che dietro ad ogni grande uomo c’è sempre una grande donna…
Sta di fatto che, oggi, lui è uno dei miei migliori amici, uno di quelli che, se pur a distanza, appartengono alla mia più preziosa quotidianità.
E quel progetto, in cui abbiamo tanto creduto, io per prima, e messo impegno, passione, entusiasmo, idee e fantasia, è finalmente un oggetto materiale.
Perché ci vuol sudore e un minimo di cuore se non vuoi lo zero a zero. Perché bisogna crederci, nelle cose.
Perché oggi, il libro è pubblicato, il sogno è diventato realtà.

Sono orgogliosa di te e tanto emozionata.
Perché questo è proprio uno di quei traguardi che sono partenze. Ti auguro di arrivare lontano.
E sono contenta di aver fatto un pezzettino di strada con te.
Grazie.

sabato 20 novembre 2010

quando tutte le parole sai che non ti servon più

Per te, Chimera.
Perché il patto è stringersi di più.
Perché so come stai. Sento il tuo dolore, lo riconosco.  Perché quando ne provi uno così grande, lo vedi e rivivi ogni volta come se fosse il tuo.
Perché credo che le persone che tanto abbiamo amato non ci lascino mai veramente. Non le vediamo più, ma restano sempre lì ad indicarci la strada della vita.
Oggi, niente parole inutili. Oggi ho solo una preghiera per te, Chimera.
E spero che ti arrivi il mio pensiero più commosso.


giovedì 18 novembre 2010

C'è chi corre e chi fa correre e c'è chi non lo sa


Ieri sera, secondo appuntamento con L., aspirante Principe. E io, a questo punto, c’ho un po’ di traffico nell’anima.
Perché la vita, a volte, è proprio un po’ strana.
Non più di due settimane fa, parlando con un caro amico, che sa fin troppo bene come son fatta, facevo un bel ritratto dell’Uomo Giusto, quello che avrei voluto incontrare. Non perché fossi convinta di incontrarlo davvero, ma così, tanto per parlare, per il gusto di sognare un pochino.
Dicevo che, per una volta, avrei voluto uno proprio diverso da tutti quelli che ho incontrato fino ad ora.
E che avrei voluto uno rilassante, uno di quelli che fanno l’uomo e ti lasciano fare la donna, uno che dice che chiama, e poi chiama veramente. Uno con le idee chiare e la vita tranquilla. Uno che abita a non più di un km da casa mia.
Uno che pensa a tutto, e a me resta soltanto il compito di farmi un po’ carina. E magari la ceretta.
Ora, improvvisamente, e senza neppure averlo cercato, mi trovo davanti questo L., aspirante Principe.
E lui è proprio uno così.
Mi organizza la serata, mi passa a prendere puntuale e, anche se piove a dirotto, si prende addirittura il disturbo di venire, ovviamente munito di ombrello, fino al cancello per suonarmi al citofono, che lui mica mi fa lo squillo sul cellulare per farmi scendere.
E poi mi porta in un posto carino, mi chiede se mi scoccia far due passi dal parcheggio al ristorante,  magari son vestita un po’ leggerina. Mi consiglia il menu, e tra l’altro non sbaglia nemmeno troppo i miei gusti.
E spegne il cellulare per dedicarsi solo a me.
E poi, si adatta alla mia tisana senza zucchero, si adopera immediatamente per cambiarmi la lampadina fulminata, e pure per programmarmi il timer della caldaia.
Mi ascolta con attenzione e si ricorda tutto quello che dico. Mi fa i complimenti per le scarpe e per gli occhioni blu. E mi guarda come se fossi bellissima.
Riesce addirittura a sorprendermi quando riconosce lo scultore delle statuette che ho sulla libreria, e non è che mi capiti così spesso, di stupirmi.
Io ci resto un pochino stranita, di tutto questo. Non ci sono abituata.
E certo che è proprio rilassante, e non è neanche poi così spiacevole, non dover pensare a niente e concentrarsi solo sulla conversazione e sull’approfondimento di alcuni aspetti del carattere, del passato, della vita.
E mi piace anche, lui. È interessante, divertente, ed è pure carino.
E la serata è stata piacevole, nulla da dire.

Ma poi, quando mi propone il prossimo appuntamento, mi sento come un pochino… soffocata.
È che non lo so se fa per me una cosa del genere.
Perché io sono una che sceglie, non che fa scegliere.
Sono quella che si arrangia, che non chiede niente a nessuno e che pensa ancora di poter fare tutto da sola.
Quella rigida, che si adatta poco, col caratterino poco comodo e le idee sempre molto chiare. Una che organizza, gestisce, coordina. Una che da poco spazio e confidenza ancora meno.
Una che vuole una cosa e se la va a prendere. Solo se e quando la vuole veramente. Una senza mezze misure. O bianco o nero, o tutto o niente.

E allora… che succede?
Ero tanto convinta di volere una cosa e adesso, cosa voglio?
Forse la verità è che non mi piace abbastanza?
Allora hanno ragione quelli che ti dicono: attenta a ciò che desideri, potresti ottenerlo? 
O forse, c'è che bisogna semplicemente vivere un pò di più, e pensare un pochino meno?
Perché io, ancora, non l’ho mica capito…

lunedì 15 novembre 2010

tutti quegli scherzi che fa il tempo


Rifletto su un sabato dedicato alla rimpatriata con dei vecchi amici.
Capita tre o quattro volte all’anno che un’amica faccia un bel giro di telefonate, ovviamente con largo anticipo, chiedendo a tutti di tenersi liberi per la tal data, “così ci vediamo con i ragazzi”. Con molti di loro, sono quelle ormai le uniche occasioni per vedersi.
E devo dire che è brava a farlo, perché poi ci si ritrova ogni volta nel solito posto, quello che non c’è nemmeno bisogno di darsi appuntamento ché, in fondo, dove se no?

Ed eccoli lì tutti loro, persone che conosco da una vita.
Quelli che mi hanno vista matricola all’università, tutta ideali ed entusiasmo, e tutt’uno con il libro di “Istituzioni di Diritto Privato” a sudarmi quel maledetto pre-appello, nel lontano e torrido giugno 1996. Sempre loro, anche quando il libro cambiava, ma io ero sempre lì, costante e tenace, a sottolineare con le penne colorate e a preparare un esame dopo l’altro.
Quelli che erano presenti alla mia laurea, in quella primavera del 2001 inaspettatamente fresca, quelli che hanno pianto con me per la perdita di chi ho tanto amato, quelli che, non più tardi di cinque anni fa, sono passati nel mio nuovo studio, con una piantina o anche solo con il loro in bocca al lupo.
Quelli che hanno conosciuto i miei fidanzati, dal vivo o solo nei miei racconti, quelli che hanno gioito per i miei successi, che mi hanno vista spensierata, e poi allegra, felice, soddisfatta, stanca, triste, a volte disperata, sconsolata e poi assente, preoccupata, e poi sola, raggiante, serena, e inquieta, testarda, innamorata, ferita. Forte e fragile.
Con molti ho condiviso tante vacanze, in giro per l’Europa o in un appartamento in affitto al mare, troppo piccolo per tutti gli amici degli amici che si fermavano a dormire. Con loro ho organizzato le feste a capodanno, tra i dolci al mascarpone e le pareti troppo umide di una casa di campagna aperta solo per l’occasione.
Con alcuni ho preparato qualche esame, con altri ho attraversato l’Italia in macchina, in certe notti di nebbia in cui sei sveglio o non lo sarai mai più, ho vagato per sagre, o anche solo senza meta. Con altri ancora ho chiacchierato di me, delle mie paure, dei miei sogni. Di valori, di scarpe, dei misteri dell'universo.
Con loro ho visto concerti, albe e tramonti, amori e tradimenti.
Sono stata alle loro cene, ai loro matrimoni. Sono stata al battesimo dei loro figli.
Sono stata nelle case nuove, li ho raggiunti nello stage a Milano, a Rimini, sul nuovo lavoro a Firenze, dal fidanzato a Londra, in Erasmus ad Amsterdam. In Sicilia, in Friuli, a Roma, a Bologna o anche solo nel primo locale. Ci conosciamo da una vita, so chi sono e anche loro dovrebbero sapere ormai, chi sono io.
E invece.

E invece, da qualche tempo a questa parte, sarà l’età, saranno le scelte, sarà che sono cambiata io, sarà la vita, ma davvero ci devo pensare su, al perché mi trovo a tavola con queste persone.
Mi fa una strana impressione vedere quegli uomini, che una volta erano dei ragazzi vivaci e un po’ cazzari, parlare solo di gomme termiche, risultati sportivi e dello sfalcio del prato davanti a casa.
E le ragazze, quelle con cui ho condiviso lo shopping, dal negozio sotto casa a Parigi, le confidenze e tanti caffè, ora così compite, gonna al ginocchio e filo di perle, a parlare dell’asilo dei figli, di cucine Scavolini e della ricetta di quella torta alla ricotta.
Non posso credere che questa scenografia da Desperate Housewives sia oggi la loro vita.
Loro, di contro, mi chiedono della mia con uno sorrisino scettico e un pochino divertito.
Ascoltano del mio lavoro, dei miei incontri, degli interessi, delle idee e del tempo libero con un’aria curiosa, un po’ come se stessero ascoltando la trama di un film, o come si fa quando si guarda la puntata di una serie TV: è divertente, ma non è vita vera.
Si stupiscono della mia libertà di prendere e partire per il week end senza programmi, dei libri che leggo, delle mie convinzioni sull’amore e sulla politica, delle persone che frequento o non frequento, del fatto che compro le decorazioni dell’albero di Natale argento e fuxia, come le pareti di casa.
Perché io sono quella strana, quella fuori dagli schemi, quella sopra le righe, quella che conosce le borse firmate ma non sa nulla di notti insonni per il primo dentino, quella che, del matrimonio, conosce solo la teoria per via dell'esame di Diritto di Famiglia all'università. Quella che vive sulle nuvole, che può permettersi di pensare solo a se stessa, che non saprebbe far la spesa al supermercato per una famiglia.
E che non prende mai niente sul serio.
E’ triste vedere che non si ricordano di me, di chi sono.
Eppure, ho scatole piene di fotografie, con loro.

giovedì 11 novembre 2010

qui con la vita non si può mai dire


Qualche settimana fa, S., tra un preparativo e l'altro per le nozze, mi ha invitata ad un aperitivo e, in quell'occasione, mi ha presentato un suo amico. Uno di quelli che sarebbero stati presenti al matrimonio (quello di qualche post fa).
La versione ufficiale è che gli dispiaceva che facessi il viaggio da sola e che, se preferivo, potevo andare in macchina, appunto, con L. e un altro amico.
Con questo L. ci siamo scambiati un paio di mail organizzative, tipo come raggiungere la chiesa, quanto ci vuole Ferrara-Asti, l'orario del matrimonio... cose così.
Alla fine, ci siamo scambiati anche il numero di telefono, casomai mi scocciasse guidare con i tacchi e mi decidessi di accettare quel suo passaggio all'ultimo secondo. 
Poi ci siamo visti al matrimonio, abbiamo chiacchierato e scherzato e, quando ci siamo salutati, L. mi fa: ci vediamo a Ferrara? Ho detto si. Ma io, quel punto di domanda non l'avevo mica colto. La frase mi sembrava una di quelle di circostanza, tipo... ok ci si vede in giro... ok, sì.  

Passano un pò di giorni, una sera tardi S. mi scrive un sms e mi dice che ha sentito L. e che L. gli ha detto che io sono proprio interessante, che mi ha scritto qualche messaggino, ma che io non gli ho risposto. Forse non li ho ricevuti? 
Controllo il mio cellulare e vedo che sì, in effetti è vero. Tre messaggi di L., zero risposte da parte mia. 
Mezza addormentata, data l'ora, scrivo: "e tu dì a L. che magari se non gli ho risposto è perchè non ho avuto tempo... o più probabilmente perché non mi interessa. Non credi?" 
Rileggo soddisfatta... Sì, quando ci vuole ci vuole.
Invio.  
Solo che, per errore, quel messaggio lo invio proprio a L. anziché a S. 
Me ne accorgo giusto una frazione di secondo dopo averlo inviato e penso che questa é proprio una classica caduta di stile. E poi penso... vabbè, meglio così, un passaggio in meno. Pazienza, tanto non mi interessava.   
La mattina dopo mi trovo una mail di L.: "Mi sa che tu, da bambina, non hai letto libri di favole. Non te l'hanno detto che, a volte, i ranocchi diventano principi? Ok, te ne do atto, forse io non sarò mai un principe. Però il tuo SMS (sbagliato o scritto apposta?) ha distrutto il mio orgoglio maschile. :-( Mi sa che, per rimediare, ti toccherà accettare almeno un aperitivo... :-). Dai, almeno pensaci!!! L."

Io, allora, un pò per scusarmi della scivolata, e un pò perché in fondo, quella mail di ranocchi e principi mi aveva chiaramente colpito, ci ho pensato. 
E mi sono accorta che mi avevano colpito anche altre due cose di L., al matrimonio: lo strano accento, che poi ho scoperto essere umbro, e il colore della cravatta. 
Insomma, alla fine, ho accettato l'invito a quell'aperitivo.
All'aperitivo è seguita una cena improvvisata, in uno dei locali più improbabili della città. Tutto da ridere. Alla cena è seguita da una lunga camminata in una Ferrara deserta, nebbiosa e non troppo fredda.  
Le mie scuse son diventate battute, chiacchiere, risate, e poi la scoperta di cose in comune, passioni e progetti non troppo diversi. 
Quell'invito accettato per dovere e senza troppa convinzione ha preso una piega diversa ed è diventato in una serata divertente e piacevole.
Una di quelle che vengon bene così, per caso e senza pensarci troppo su. Una di quelle in cui, a un certo punto, butti un occhio all'orologio e sono già le due e proprio non te ne sei accorta.   
Non l'ho neanche baciato, e quel ranocchio si è trasformato nella cosa più simile ad un principe che mi sia capitato di incontrare da molto molto tempo.   
E adesso stiamo a vedere che succede...  

martedì 9 novembre 2010

perchè prima e dopo il sogno c'è la vita da vivere


E così, ecco qui il post che ti ho promesso.  
Arriva lungo, un pò perchè i ritmi di questa vita complicata non mi lasciano pensare con calma, e un pò anche perchè la mia, di digestione, è stata inaspettatamente un pò più lenta del previsto. Sappi, tanto per la cronaca, che non ti ho per niente capito, che per me resti un mistero.
Scrivo dal vagone quasi vuoto di un treno regionale di quelli a due piani, e intanto osservo dall'alto i campi che si stagliano sul cielo a specchio del novembre emiliano.
In questo momento mi sento in equilibrio. O forse quello che sento è semplicemente un equilibrio, uno dei tanti possibili.  
Oggi è stata una buona giornata, perché stamattina presto, mentre ero ferma sul solito binario tre, la pioggia ha improvvisamente lasciato spazio ad un bellissimo arcobaleno, e anche perché, finalmente, ho trovato il mio tanto amato piumino ADD, ed è proprio esattamente come lo volevo.
Basta poco, in fondo, per vedere spuntare l'arcobaleno, è che, purtroppo, non tutto si può comprare.   

Dunque, vediamo se sono capace di rendere leggibili le riflessioni maturate in una serata di parole, tra discorsi di titoli di libri di difficile reperibilità, (che chiaramente non ho letto, e che magari mi farò procurare direttamente dall'autore, hai visto mai che mi appassiono...), trame di film un pochino snob, possibilmente tristi, di sicuro francesi, ancor meglio se in lingua originale con i sottotitoli, e pezzettini di racconti di vita. Di sogni e di sbagli. E di cose andate così.  
Riflettevo su come a volte immaginiamo le persone da fuori, su come ci facciamo un'idea delle loro vite senza conoscerle. 
E anche su come possiamo riconoscerci nel modo in cui ci vedono gli altri da fuori. 
Sorrido del fatto che forse, se a volte son sembrata un pò sognatrice, è perché, in fondo, lo sono. Almeno, lo sono stata, solo che forse lo ero di più.
Forse la mia vera natura è davvero quella.  
Ma il percorso che ho fatto, fuori e dentro, mi ha imposto di tenere i piedi ben saldi per terra. Per accettare le mie giornate, per evitare delusioni, per tutelarmi dalle aspettative. Dalla mia emotività, dalla mia fragilità.
In pratica, per limitare l'impatto della caduta, ho deciso di volare più bassa.  Ho messo da parte la sognatrice, e l'ho fatto ben consapevolmente, dire.
Ma non so se mi ha fatto meno male, la vita da vivere.
Forse ho perso semplicemente entusiasmo e speranza, ma non ho assolutamente imparato come si fa a non cadere, ammesso che lo si possa imparare. 
Allora, sai che c'è? da adesso in poi mi prendo un impegno: recuperare un pò di leggerezza, di incanto, di positività andata persa e di incoscienza, perché in fondo son cose che servono, basta solo dosarle un pò.  Come e quanto, ancora non lo so, perchè certo, questa non è matematica, la formula non c'è.  Anzi, se tra le tue ricerche la trovi tu, ti prego, passala anche a me.
Intanto grazie per la riflessione che è dipesa in gran parte da te.
Io, da parte mia, ti dedico questo arcobaleno che oggi intravedo nel mio cielo.

sabato 6 novembre 2010

E mi attacco alle stelle che altrimenti si cade

Io, di oroscopi, non ci ho mai capito niente. 
Ascendenti, transiti di pianeti, influenze astrali e tutti gli annessi e i connessi non mi impressionano neanche un pò. 
Giove per me è stato sempre e solo il gestore di quel posto in Romagna dove, un bel pò di anni fa, mi sballavo di piadina con lo stracchino e la rucola all'uscita dalla discoteca.     
Eppure, in questo periodo, le frequenti mattine di treno Ferrara-Bologna, BinarioTre-OreSetteEVenti, gomito a gomito con i pendolari veri, che gira che ti rigira dopo un pò ci si conosce tutti di vista, mi hanno fatto capire che con gli astri non si scherza davvero. 
Volente o no, mi sono adeguata ai riti quotidiani di quelli che, un pò alla volta, sono diventati i miei compagni di viaggio.
Un allegro gruppetto di cinque, a volte sei persone che conoscevo già di vista e che mi hanno accolta con entusiasmo e affetto, garantendomi quasi sempre un posto a sedere sul regionale delle 7,32.  
Che, se anche il viaggio è breve, farselo in piedi non è il miglior modo per cominciare la giornata e, chi prende quel treno solo ogni tanto, come me, non ha certamente la capacità di sopravvivere nella giungla di carrozze strapiene e pendolari facilmente irritabili.
E ho imparato a tenere il libro chiuso, e ad ascoltare le battute di uno sui fatti di cronaca, le lamentele di un altro sui piatti preparati dalla moglie, che pare non avere propriamente doti da chef, i gusti di un'altra in fatto di stivali.
E ho imparato che, più o meno alla volta di San Pietro in Casale, metà strada circa, fanno la loro bella comparsa le stelle, nel senso che vengon lette le previsioni astrali giornaliere di tutti, presenti e non, perché magari, sapere in anticipo se il capo, quel giorno, sarà un pò nervosetto, o se ci aspetta una giornata no, potrebbe aiutare a prevenire guai seri. 
E da tutto questo, pare proprio che, se c'è uno di cui ci possiamo fidare, quello è sicuramente il signor Paolo Fox, un mago nel dirci come sarà il nostro cielo astrale.  
Per convincermi di questo, ieri mattina una delle mie compagne di viaggio mi ha portato direttamente sul binario tre il volume "Paolo Fox - Oroscopo mese per mese 2010", assegnandomi il compito preciso di rileggermi, col senno di poi, l'oroscopo dell'anno che sta finendo, per vedere se "ci ha preso" da gennaio ad oggi.   
Ebbene, devo proprio ammetterlo... sì. Per molte cose, sì.
Ora, mister Fox prevede per me, in questa coda del 2010, un grande e positivo cambiamento, decisioni drastiche, nuove idee, un intrigante progetto e "una situazione astrologia agiata e agevolata dal transito di Giove nel segno".
Mi dice che "saprò far magie".    
E dunque, mi son detta, proviamo a crederci...  in fondo, le magie, mica saranno prerogativa esclusiva di Walter il mago, no? 

giovedì 4 novembre 2010

Ma io almeno credo

Credo che ci sia un momento preciso in cui ognuno è chiamato a decidere che tipo di persona vuole essere, e credo che di fronte ad un torto si possa anche fare la scelta consapevole di non rispondere alla provocazione.  Di non scendere a quel livello. 
Ma che questo non voglia dire per forza subire. Né essere più deboli. 
Credo che non reagire alla cattiveria, alla stupidità o alla superficialità, all'ignoranza, all'egoismo o all'odio che ci vengono rovesciati addosso non voglia dire essere meno capaci di difendersi.     
Di nuovo, come troppe volte ormai, mi trovo di fronte alla stessa persona, quella che doveva essere di famiglia, ma che non ha esitato ad abbandonarmi quando ero più sola, più debole e quando avevo più bisogno.
Ma anche stavolta scelgo di credere solo in me stessa, nella mia forza d'animo e di volontà più che nella lusinga del potere o nella logica delle conoscenze che contano.   
Ancora una volta credo fermamente che le energie vadano sempre spese per costruire e mai per distruggere, e credo che non si debba cadere nella tentazione di una sana e liberatoria vendetta,  perché vendicarsi può anche far gongolare per dieci minuti, per un giorno o per una settimana, ma non c'è soddisfazione più grande del dimostrare a quelli che ci hanno fatto del male che loro, per noi, non esistono neppure. Che tanto ce la facciamo lo stesso. Nonostante loro e nonostante tutto.
Credo che ci siano dei valori che vanno difesi sempre, anche a costo di sembrare ingenui, perché sono quelli che ci fanno sentire in pace con la coscienza e che ci rendono migliori.
Credo che in certi momenti si possa solo prendersi un respiro profondo, dedicarsi a un pò di shopping compulsivo e alzare gli occhi al cielo a contare le stelle.  
E credo sempre nel rumore assordante di chi sa davvero tacere.